citazioni

Ci sono infiniti modi per raccontare una stessa cosa. Saper scegliere il migliore è ciò che fa di uno scrittore un bravo scrittore. Il lettore non si nutre solo di storie, di accadimenti. Si nutre di parole, di suoni, di combinazioni che a volte lo colpiscono al punto di ricordarle per sempre

sabato 27 febbraio 2010

Mucho Mojo - parte prima

Stavo con un'intelligente professionista, e riuscivo solo a pensare quanto mi sarebbe piaciuto scoparmela. Dovevo pensare a qualcosa d'altro. La cosa da fare era parlarle come si parlerebbe a un avvocato che stuzzica il tuo interesse, maschio o femmina che sia.
- Le capitano molti casi di risarcimento danni?
- Come?
- Ha presente... Incidenti stradali...
- Oh. Ogni tanto. Un paio in tutto. Più che altro mi occupo di testamenti, cose del genere.
Forte, Hap. Proprio forte. Perché non le dai della insegui-ambulanze?
- Bella giornata, eh?
- Già. Be'...
- Insomma, fa caldo, però è ok. Meno umido del solito. Insomma, in genere c'è più umidità.
Florida Grange guardò l'orologio. - Secondo lei, quando tornerà Leonard?
- Presto. Al diavolo, Florida. Mi sto comportando da idiota. Ultimamente, quando mi trovo con una bella donna, mi capita di fare la figura del fesso. Non lo faccio apposta.
- Non c'è problema.
- No. No, non è vero. Se preferisce, me ne sto qui buono buono... A lei interessa Leonard?
Lei mi sorrise. - Leonard è gay.
- Lo sa? Speravo di darle io la notizia, e se fosse rimasta delusa, sarebbe toccato a me rimediare. Io non sono gay, fra l'altro.
- Cavoli. Non lo avrei mai immaginato. Da queste parti, quasi tutti sanno che Leonard è gay. Passava le estati qui. Mia madre conosceva suo zio, e ha visto crescere Leonard. Mi ha parlato di lui.
- Ah.
- Senta, signor Collins... Hap. Le devo le mie scuse.
- Lei deve scuse a me? Dopo tutte le mie sbirciate? Deve perdonarmi, Florida. Ho passato troppo tempo fuori dal mondo. Niente compagnie femminili. Al momento, sono alimentato quasi completamente a ormoni adolescienziali.
- L'altro giorno, quando mi ha chiesto di portarmi fuori, le ho risposto di no...
- Ehi, tutto a posto, è un suo diritto...
- Vuole chiudere il becco un minuto?
- Ma certo.
- Devo confessarle una cosa. Non sono uscita con lei perché è bianco. Tutto qui.
- Non le piacciono i bianchi?
- Non è questo. E' che anch'io sono un prodotto del razzismo. Non sto a pensarci molto, non mi sembra di praticarlo. Però, vede, io sento sulla pelle tutte quelle storie sul mondo in mano ai bianchi. Sento di dover scarpinare in salita per tutto quello che riesco a ottenere, da nera. E quando arrivo al punto di essere pronta ad avanzare, pare ci sia sempre un ostacolo bianco.
- Probabilmente c'è.
- A volte sì. A volte no. Però io ho lo stesso una scimmietta sulla spalla, e così, quando un bianco mi chiede di uscire, io mi metto a pensare che lui pensi Questa puttana nera sarà contenta di uscire con me. Io sono bianco. E siccome sono bianco, posso regalarmi una porzione del suo culo nero, dopo di che Buana può continuare per la sua strada e mettersi con una donna bianca, una donna rispettabile.
- Be', per essere onesto, alla storia della porzione di culo nero ci ho pensato sul serio.
- Lo so. L'ho capito. Lei trasuda umori maschili. Ma il punto è l'altra parte. La parte razzista. Non credo proprio che lei l'avesse in mente. Né allora, né oggi. Ma i condizionamenti sono duri a morire. Ci ho pensato su un sacco, e mi è dispiaciuto avere pensato una cosa del genere, e sa?, sapevo che lei era qui perché mia madre mi ha detto di averla vista qui, e l'ha riconosciuta dal funerale, e be', volevo farle sapere che mi spiace di essere stata razzista. Porcaccia, sto facendo una grandissima confusione.
- Tutto a posto. Ho afferrato. E' molto onesto da parte sua. Ma fa sentire di merda, ma è onesto.
- Sì, certo. E continuo a non voler uscire con lei.
- Capisco.
- Sa perché?
- Sono brutto?
- No. A dire il vero la trovo attraente, in un modo un po' grinzoso e demodé.
Grinzoso?
- Ma il problema è che a me piace ballare, e i bianchi non hanno ritmo. E lo sa che altro dicono di voi bianchi?
Guardai un sorriso splendido illuminarle il viso.
- Cosa dicono? - chiesi.
- Che avete degli uccelli piccoli così.

Joe R. Lansdale, Mucho Mojo (trad. Vittorio Curtoni), Einaudi, 2007

Trovo i dialoghi di Lansdale perfetti. Diretti, senza troppi lui disse e lei rispose e sinonimi vari, che tanto non servono a nulla. Linguaggio scurrile divertente e molto caratterizzante, argomenti all'apparenza leggeri, ma che di solito nascondono di più. Usare così il dialogo è un ottimo metodo per far succedere le cose senza doverle descrivere, per far scorrere le pagine e per far affezionare il lettore ai protagonisti. Certo, bisogna saperlo fare e non se ne trovano molti scrittori di questo livello.

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lunedì 8 febbraio 2010

Neuromante

- Ragazzi, questo sì che è un pezzo di software davvero carogna. La più grossa novità dopo l'invenzione dei toast. Quel dannato affare è invisibile. Proprio adesso ho affittato venti secondi su quella scatoletta rossa, quattro salti a sinistra sull'ICE della T-A, per dare un'occhiata a come apparivamo. Be', non appariamo affatto. Non ci siamo.
Case esplorò la matrice intorno all'ICE della Tessier-Ashpool fino a quando non trovò la struttura rosa, un'unità commerciale standard, e si digitò il più possibile vicino a essa. - Forse è difettosa.
- Forse, ma ne dubito. È una creatura dei militari, comunque. Ed è nuova. Banalmente, non fa registrare la sua presenza. Se lo facesse, avremmo letto i dati relativi a qualche genere di attacco cinese a sorpresa, invece nessuno si è agitato di un millimetro nonostante la nostra presenza. Forse neppure la gente a Straylight.
Case osservò la parete vuota che schermava villa Straylight.
- Be', è un vantaggio, giusto?
- Forse. - Il costrutto fece la vaga imitazione di una risata. Case trasalì a quella sensazione. - Ho ricontrollato il vecchio Kuang Undici per te, ragazzo. Puoi fidarti... fintanto che sei dalla parte del grilletto è quanto di più cortese e servizievole si possa immaginare. Parla anche un discreto inglese. Hai mai sentito parlare di virus ad azione lenta?
- No.
- Io sì, una volta. All'epoca era soltanto un'ipotesi. Comunque è proprio di questo che si tratta. Qui non è questione di perforare e iniettare, ma è piuttosto come se ci interfacciassimo con l'ICE in modo così lento che l'ICE non se ne accorge neppure. In un certo senso la configurazione logica del Kuang si avvicina subdola al bersaglio, e poi muta in modo da diventare esattamente come il tessuto dell'ICE. Poi noi ci agganciamo e subentrano i programmi principali, cominciando a menare per il naso i sistemi logici dell'ICE. E diventiamo fratelli siamesi prima ancora che inizino ad agitarsi. - Il Flatline scoppiò nuovamente a ridere.
- Vorrei che non fossi così maledettamente allegro oggi, amico. Non so perché, ma quella tua risata mi fa correre i brividi lungo la schiena.
- Peggio per te - rispose il Flatline. - Il vecchio cadavere ha bisogno delle sue risate. - Case fece scattare l'interruttoredel simstim.

William Gibson, Neuromante (trad. Giampaolo Cossato, Sandro Sandrelli), Mondadori, 2003

Non riesco a seguirlo. Neologismi continui, situazioni difficili da visualizzare, descrizioni che non riescono a trasformarsi in immagini. Ho iniziato a leggere questo romanzo con entusiasmo, sapendo di essermi perso, finora, una pietra miliare della fantascienza, addirittura il capostipite di un sottogenere di grande successo. Il cyberpunk ha dato vita a un movimento non solo letterario ma anche (e forse soprattutto) cinematografico. Pellicole come Strange days, Johnny Mnemonic, il nostro Nirvana, fino ad arrivare al celeberrimo Matrix sono tutte figlie di Gibson, e mi piacciono e molto. Eppure questo non riesco a leggerlo. Vado avanti con una lentezza esasperante, mi dimentico immediatamente di cosa sia successo nella pagina precedente, aspetto sempre che la storia prenda finalmente vigore, che si delinei un filo da seguire verso il finale. A differenza di come faccio spesso ultimamente, mi sto costringendo a finirlo, ma l'ultima pagina mi darà un senso di liberazione da un libro che rimpiangerò di non aver avuto il coraggio di abbandonare dopo poche righe.

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